NELLA LOCANDINA TUTTI I DETTAGLI
LINK DI REGISTRAZIONE PER PARTECIPARE
TEMATICA
Stesso mare, stesse barche, stesse identiche reti vuote... e anche la medesima distrazione. Sono passati anni al fianco di Gesù, ma la pesca fallisce ancora, come a voler dire che il tempo trascorso insieme non è garanzia di pescato. L’evangelista Giovanni, al cap. 21, racconta una scena che potrebbe sembrare la ripetizione di una chiamata già vissuta, di un incontro già avvenuto. E invece no. Nella terza apparizione post pasquale che si compie sul mare di Tiberiade - nella Bibbia conosciuto anche con il nome di lago di Gennesaret - la dinamica è molto simile. A cambiare è una sfumatura: se l’evangelista Matteo sottolinea il fallimento, Giovanni calca la mano sulla speranza. Pietro, stavolta, non esita, si affida. Questo affidamento lo porta a decentrarsi, a non riconoscersi più come peccatore, ma a guardare di fronte a lui, a incrociare occhi negli occhi «il Signore!» Ripercorriamo per qualche secondo la vicenda: Pietro va a pescare, i compagni apostoli scelgono di andare con lui, tutti insieme salgono sulla barca e pescano per tutta la notte; all’alba del giorno dopo Gesù compare sulla riva; sollecitati, i sette rivelano di non avere nulla da mangiare e il Risorto suggerisce di gettare le reti dalla parte destra della barca; Pietro si accorge, dopo la pesca, di avere davanti il Signore e si getta in mare, mentre gli altri discepoli si avvicinano con la barca e trascinano la rete piena di pesci. In queste parole che descrivono l’episodio, come in tutte le altre che nei versetti successivi l’evangelista Giovanni adopera meticolosamente, ci piace percepire la profondità che viene data al brano dalle preposizioni, quelle parti invariabili del discorso che, premesse a un nome, a un pronome, a un avverbio o a un verbo all’infinito, ne precisano la funzione sintattica. E ci piace pensare anche a noi come “preposizioni”, come elementi costitutivi della comunità e della società che possono influenzarne il significato e la struttura. Ognuno e ognuna di noi è, in fondo, una preposizione semplice, una connessione tra le persone e nei luoghi che abitiamo. Di qui l’idea di pensare all’esperienza del campo scuola, nello stesso periodo del Giubileo dal tema “Pellegrini di speranza”, come alla possibilità di vivere una specie di allenamento per recuperare la connessione con gli altri e con il mondo e per coltivare la capacità di avere sguardi ampi sulla vita. Questo nostro essere preposizioni semplici ci esorta e ci sprona ad assumere posture nuove e stili rinnovati. Non possiamo essere ‘’citta dini del quotidiano’’ se non traduciamo in scelte concrete quei bisogni di cambiamento che percepiamo continuamente attorno e dentro di noi. Siamo chiamati, allora, a non fare rivoluzioni ma a vivere, da giovani, per posizioni semplici. Ad accompagnarci in questo viaggio, ancora una volta in mare aperto, ci sarà, oltre all’apostolo Pietro, anche Ulisse. Ripercorrendo le sue avventure, attraverso cinque particolari incontri, proveremo a riconoscere alcune connessioni fondamentali per la nostra vita. Come le preposizioni non possono essere pensate sole, sganciate dalle altre parti che compongono una frase, così anche noi non possiamo immaginarci isolati e sconnessi: scopriremo e/o rinnoveremo la bellezza del sentirci parte di una comunità più grande. L’obiettivo che ci diamo attraverso l’esperienza di questo campo estivo è comune per Giovani e Giovanissimi.
CLICCA QUI PER SCARICARE IL MODULO PDF ISCRIZIONE DA PORTARE AL CAMPO